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La sensorialità dell’arte contemporanea

  • Immagine del redattore: Sensorio
    Sensorio
  • 5 feb 2021
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 8 feb 2021

Il legame tra la sinestesia e l’arte contemporanea è molto stretto. Il passaggio dall’arte moderna verso l’arte contemporanea, decreta il passaggio dal concetto di “racconto del reale” verso la trasmissione diretta degli stati d’animo e della sensorialità. Molte persone non comprendono l’arte contemporanea perché non rivedono nelle opere il reale. Per esempio Bansky è rispettato e amato da tutti perché di facile comprensione: pone prima di tutto la comunicazione razionale, all’irrazionale. La parte riduzionista (tipica dell’arte con-temporanea) toglie al fruitore la possibilità di riconoscere uno stato visuale e non comunica cosa sta avvenendo, i riduzionisti lasciano allo spettatore la comprensione dell’opera, come a dire “lasciati andare”.

Prendiamo in considerazione l’opera Grande Rosso di Alberto Burri, protagonista dell’informale materico. È possibile capire che si tratta di un materiale, a metà tra il 3d e il 2d, ma non si intuisce quale sia nello specifico; il cervello comprende che può osservarlo senza pericoli, non è aggressivo e non può ferire. Tutti questi ragionamenti avvengono in un lasso di microsecondi. Successivamente appare chiaro che si tratta di un’opera e si inizia ad analizzarla. È difficile non leggere la sofferenza e il dramma dati dalle bruciature della plastica conoscendo la storia dell’artista: catturato durante la guerra mentre svolge servizio come medico, passa tre anni in prigione presso un campo di concentramento statunitense. In quest’opera vengono inseriti una serie di stimoli e tocca al fruitore l’interpretazione dei suddetti stimoli, attribuendoli inevitabilmente alla propria esperienza personale: il buco nero rappresenta il mio dolore quando sono stato lasciato? Quando ho perso un mio caro? Oppure questo colore rosso sangue mi ricorda qualcosa di inquietante? Le stratificazioni di senso sono ciò che conferisce una ragion d’essere all’opera d’arte. Burri voleva colpire in questo senso.

Un altro esempio pratico del legame tra la sensorialità e l’arte contemporanea è l’opera Stati d’Animo, di Umberto Boccioni. L’artista descrive in una triade di tre dipinti, tre stati d’animo: gli addii, quelli che vanno e quelli che restano. In essi, l’artista vuole raccontare, attraverso le immagini, le linee e i colori, le sensazioni che si provano quando una persona cara parte per un viaggio. Non si limita, però, a descrivere i sentimenti di coloro che si allontano, ma anche di chi resta: la realizzazione dei trittici, infatti, gli dà la possibilità di esaminare simultaneamente diversi stati d’animo. Il primo quadro, Gli addii, fa da preludio agli altri due, introducendo il contesto in cui vanno interpretati. Il dipinto ritrae una stazione ferroviaria dove, per l’appunto, delle persone si stanno dicendo addio. Ciò che non si può non sentire è la pesantezza di questi saluti e la tristezza che circondano gli abbracci, protagonisti dell’opera. Rappresentano qualcosa che è in divenire. In Quelli che vanno, come fa intuire il titolo, l’artista futurista esplora le emozioni provate da coloro che salgono sulla locomotiva de Gli addii. Rappresentazione di schegge diagonali leggermente inclinate verso l’alto, tra le quali si intuiscono delle figure statiche sedute; sembra la visione di cosa vede un passeggero dal treno che passa. Qui ciò che viene messo in risalto è l’angoscia che prova chi parte che, seppur eccitato per la nuova vita che lo aspetta, è comunque triste di non poter condividere la propria futura quotidianità con le persone che ama. Quelli che restano, infine, è il dipinto che chiude il trittico de Gli addii ed è forse quello più struggente. Dopo aver cercato di vagliare l’animo dei viaggiatori, Boccioni cerca d’immedesimarsi con coloro che sono rimasti sulla banchina, coloro che hanno appena visto gli affetti più cari allontanarsi. Sono figure ferme, statiche; a loro non resta null’altro che vivere la pesantezza che porta il susseguirsi perpetuo della stessa routine aggravata dall’assenza ingombrante degli assenti. In questo trittico è rappresentato il vero passaggio dal racconto verso una trasmissione diretta di stati d’animo senza passare per la narrazione.

Lo stesso concetto si rivolge anche alla Performance. Nella notte del 1973 alla galleria Diaframma di Milano, una donna vestita di bianco mantiene in un raccolto e apprensivo silenzio la folla che la circonda; si tratta di Gina Pane, performer francese e una tra i rappresentanti più autorevoli della Body Art. La sua mano inizia a staccare delle grosse spine che trova lungo il gambo di una rosa, e con regale lentezza le inserisce nel braccio sinistro. La Performer che si esibisce e infila delle spine nel proprio corpo mostra la gestione della sofferenza e trasmette questa gestione al pubblico, senza passare per il racconto di un viso sofferente. Non esprime la sofferenza durante “il suo sacrificio” e questo non esprimere corrisponde al saltare la fase di narrazione.



 
 
 

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