La figura retorica della Sinestesia
- Sensorio
- 5 feb 2021
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 8 feb 2021
All’inizio il termine sinestesia era considerato esclusivamente in riferimento allo strumento retorico, usato da scrittori e poeti per creare immagini efficaci accostando parole appartenenti a generi sensoriali diversi. Questa figura retorica è presente in molti dei versi che sono passati alla storia. Possiamo pensare a Pascoli con la sua interpretazione di un cielo notturno, in cui le stelle, come lacrime dell’universo, scivolano giù: «E tu, Cielo, dall’alto dei mondi/sereni, infinito, immortale,/oh! D’un pianto di stelle lo inondi/quest’atomo opaco del Male!» (X Agosto); al dolore straziante di una madre che perde il figlio, che in Quasimodo è così espresso: «l’urlo nero/della madre che andava in-contro al figlio/crocifisso sul palo del telegrafo…» (Alle fronde dei salici); arrivando a Dante: «…che, venendomi ‘ncontro, a poco a poco/mi ripigneva là dove ‘l sol tace» (Inferno). Dietro questi giochi linguistici c’è una sensibilità diversa che va oltre la semplice retorica, determinata da una percezione amplificata del mondo. I poeti avevano la necessità di tradurre quello che percepivano in parole; esse però presentano dei limiti nella trasmissione delle emozioni agli altri, risultano insufficienti. Per questo motivo si utilizzano le figure retoriche, tra le quali c’è la sinestesia.
Nella storia della sinestesia in un preciso momento storico (tra il XIX secolo e il XX secolo), essa è apparsa nel pensiero e nelle opere di scrittori, musicisti, pittori e filosofi in maniera simultanea con grande insistenza. Durante questo periodo alcuni artisti erano dichiaratamente sinestetici, e iniziarono a parlare e a diffondere il concetto. Fu il caso ad esempio di Kandinskij, padre della pittura astratta (astrattismo e simbolismo fanno molto ricorso alla sinestesia, dal punto di vista concettuale). Il pittore russo era convinto vi fosse una forza sonora nei colori, infatti nel suo libro Lo spirituale nell’Arte descrive il suono di ogni colore dandogli la voce di uno strumento. Era il modo di manifestare la sua sinestesia. Insomma tra il XIX e il XX secolo c’è stato un cambiamento che ha fatto sincronizzare tutte le arti sullo stesso piano, nel tentativo di comunicare qualcosa o di svelare aspetti di un mondo ancora inaccessibile ai sensi. Il risultato è stato il risveglio nelle arti di un sentire sinestetico. Conseguentemente, il fenomeno finì sotto l’attenzione della “neonata” psicologia, che tuttavia non aveva ancora la possibilità di comprenderlo, e lo declinò a elemento di poco conto, considerandolo un vezzo più che un fatto accertato. Viene ripresa solo negli anni Ottanta del XX secolo, quando osservando il funzionamento del cervello si constata che l’esistenza della sinestesia è un fenomeno biologico. La sinestesia è diventata così materia di studio della neurologia.

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